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Una ricerca pubblicata sul Lancet a gennaio che rianalizza i dati di 28 studi internazionali ha rilanciato il problema dell’uso delle statine nei pazienti con oltre i 75 anni di età, riaprendo un dibattito mai sopito.
Grazie alle prove scientifiche raccolte negli ultimi decenni, la terapia con le statine (classe di farmaci che riducono il livello del colesterolo circolante) ha dimostrato ampiamente di ridurre il numero di eventi vascolari gravi e la mortalità. Vi è tuttavia incertezza circa la loro sicurezza ed efficacia nelle popolazioni più anziane che molto spesso, presentando più d’una patologia, assumono diverse terapie in contemporanea. Inoltre, si potrebbe presumere che dopo una certa età il processo arteriosclerotico sia già consolidato e non reversibile.
L’uso delle statine è stato associato a potenziali effetti indesiderati a carico del fegato con aumento delle transaminasi e a livello muscolare con mialgie, debolezza fino alla miopatia e alla rara, ma pericolosa, rabdomiolisi che consiste nella progressiva distruzione delle fibre muscolari. In quest’ultimo caso, la mioglobina liberata dai muscoli danneggiati si deposita nel rene portando a un’insufficienza renale acuta.
Fortunatamente, questi effetti sono generalmente reversibili con la sospensione del trattamento, ma possono venire aggravati dall’uso contemporaneo di altri farmaci. Inoltre, poiché le statine sono metabolizzate a livello epatico, l’assunzione contemporanea di altri farmaci fra i quali alcuni antifungini e la ciclosporina e il consumo di succo di pompelmo può aggravarne la tossicità nei pazienti già resi fragili da fattori predisponenti (età avanzata, malattia epatica o renale, diabete mellito, ipotiroidismo, etc).
Nello studio di Lancet sono stati elaborati i dati riferiti a 186.854 pazienti provenienti da 28 studi precedenti, di cui 23 sono stati condotti confrontando le statine o con placebo, o con il trattamento standard per un totale di 147.242 partecipanti.
Dai risultati ottenuti, l’uso delle statine ha confermato la propria efficacia e sicurezza in prevenzione secondaria (ovvero nel trattamento dell’ipercolesterolemia o in prevenzione dopo un precedente evento cardiovascolare), indipendentemente dall’età del paziente. Ciò che invece sembra non emergere da questi dati è l’indicazione per un impiego in prevenzione primaria, quindi in pazienti in cui non sia ancora stato riscontrato alcun evento ischemico dovuto ad arteriosclerosi.
Questo studio presenta però alcune limitazioni: anzitutto, i pazienti arruolati nei trial sono accuratamente selezionati in modo che presentino poche patologie concomitanti, scarse intolleranze al farmaco e una migliore aderenza alla terapia rispetto alla popolazione generale. Oltre a ciò, l’età media dei partecipati era di 63 anni e solamente 14.483 (8% di 147.242) avevano più di 75 anni.
Queste considerazioni, ed altre limitazioni nell’analisi, non consentono di suggerire in modo indiscriminato l’uso delle statine nei pazienti anziani. Ancora una volta si richiedono ulteriori studi su vasta scala e soltanto il medico curante – ben preparato e aggiornato, che conosce il proprio paziente e la sua storia personale e familiare – potrà dare il consiglio appropriato per ciascuno.
 
Dott. Ettore Marranconi
Fondazione Progetto Ematologia
 
https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(18)31942-1/fulltext
https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(18)32263-3/fulltext

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