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CONDIVIDIAMO CON VOI UNA RIFLESSIONE DEL DIRETTORE SCIENTIFICO DELLA FONDAZIONE PROGETTO EMATOLOGIA, PROF. FRANCESCO RODEGHIERO, SUL RUOLO DELLA RICERCA CLINICA NELL’ESERCIZIO DELLA MEDICINA. 

Nel moderno giuramento che i nostri giovani medici pronunciano, all’atto del loro ingresso nella professione, al secondo punto si recita “…giuro…di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’Uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale…”

Che cosa sta ad indicare il riferimento al “costante impegno scientifico” se non che il medico deve essere radicato nella scienza, dunque radicato nelle conoscenze più aggiornate ma anche in possesso del metodo scientifico per poter compiere al meglio la sua missione curativa?

Del resto ogni medico nel porre una diagnosi o nel prospettare una prognosi altro non fa che usare il moderno metodo scientifico, in un certo senso fa ricerca scientifica vera e propria anche se applicata ad un singolo caso. Infatti ogni bravo medico usa il metodo iterativo (ricorsivo) delle ipotesi e confutazioni fino ad arrivare alla conclusione più verosimile (con maggior grado di probabilità di essere vera) quindi tale da non risultare ulteriormente confutabile.

Questo processo logico si radica nel metodo descritto da Karl Popper che, nel suo monumentale lavoro Congetture e Confutazioni (1962), definisce ogni affermazione circa la verosimiglianza di un fenomeno (quindi anche l’esattezza di una diagnosi o di una prognosi) come l’affermazione di una possibilità non suscettibile, allo stato delle conoscenze del momento, di essere ulteriormente confutata. Si tratta quindi di “verità” via via più verosimili ma mai definitive. Donde la necessaria umiltà dello scienziato/medico e nello stesso tempo la consapevolezza che la ricerca è un processo proiettato nel futuro e mai completo e definitivo.

Un esempio semplice potrà chiarire come funziona il processo iterativo (ricorsivo) sopra menzionato.  Un uomo di   65 anni si presenta al medico per la comparsa di astenia ingravescente insorta da alcuni mesi accompagnata da dimagrimento. L’esame fisico, a parte il pallore e la magrezza, non rivela altre anomalie. Nella mente del medico a questo punto si presenta un vasto ventaglio di ipotesi (ad es anemia, malassorbimento, tumore occulto, perdite di sangue, depressione etc.). Il medico a questo punto potrà scartare (confutare) in prima istanza almeno la depressione già sulla semplice base di un accurato dialogo con il paziente. Come passo successivo esplorerà con appropriati metodi di laboratorio l’ipotesi che l’entità e la natura dell’anemia siano la causa dell’astenia e ne valuterà la verosimiglianza cercando di confutarla. I risultati di laboratorio mostreranno grave calo dell’emoglobina avvalorando l’ipotesi ed inoltre evidenzieranno la presenza di globuli rossi più piccoli del normale indicativa di una carenza di ferro, dato che rende improbabile (nuova confutazione) molte altre cause di anemia acquisita. Risulterà pertanto verosimile che la causa dell’astenia sia una probabile carenza di ferro. Il medico misurerà la quantità di ferro nel sangue del paziente che risultando basso lo porterà a non confutare l’ipotesi di anemia da carenza di ferro come causa dell’astenia. Successivamente da questa prima evidenza non confutabile esplorerà con un ulteriore percorso iterativo di ipotesi via via meno confutabili la precisa causa dell’anemia fino a scoprire nel nostro caso che il paziente soffre di un tumore occulto dell’intestino con perdite croniche di sangue.

Questo procedimento logico induttivo-deduttivo è alla base della corretta pratica medica (che non si basa sul fare quante più analisi possibili nella errata convinzione di scoprire la causa specifica di un sintomo) e fa comprendere come la ricerca sia realmente connaturata all’essenza del procedimento medico svolto correttamente.

Il passo successivo coinvolge la collettività dei medici e dei loro collaboratori che auspicheremmo vedere sempre più volenterosi di mettere a disposizione le proprie specifiche conoscenze, sempre da aggiornare, nel progettare nuove ipotesi di ricerca per giungere a scoperte sempre più verosimili ed utili, ed applicabili oltre il singolo caso per poter essere applicate alla generalità delle situazioni cliniche contribuendo ad accrescere il bagaglio delle conoscenze e migliorare le possibilità di cura delle malattie. Come semplice esempio, un ricercatore vorrà determinare quale fra 3 farmaci sia il migliore in una certa situazione clinica e se l’età o il sesso possono influire etc. Un altro vorrà valutare il valore predittivo di un nuovo parametro di laboratorio nel formulare la prognosi (probabilità di guarigione) di una certa malattia. E così via.

Poiché le conoscenze di cui il medico è detentore derivano sia dal patrimonio storico dei suoi predecessori (trasmissione scientifica) che dall’insieme delle sue esperienze dirette sui pazienti, il medico stesso dovrebbe aver consapevolezza del “dono” che riceve in dote e della responsabilità morale che gli compete nel gestirlo ed incrementarlo. In fondo si tratta di un implicito obbligo morale verso la comunità dei pazienti dei cui dati individuali, forniti con il loro consenso, si alimenta la ricerca per il progresso della medicina. Non avere a cuore questo aspetto implica una reale perdita di valore nell’azione del medico.

Mossi da questo spirito, che si nutre indiscutibilmente anche della curiosità di conoscere sempre più e meglio, auspichiamo che numerosi medici ed altre figure sanitarie vorranno, se ne avranno le possibilità strutturali ed ambientali, dedicare più ampio spazio alla ricerca clinica applicata. Essi la eserciteranno primariamente all’interno della loro comunità di lavoro, sia essa un reparto ospedaliero od universitario od un laboratorio, facendone una scelta esplicita che talora assumerà i connotati di una missione particolare.

Alle istituzioni spetta il compito di creare le premesse per favorire l’esercizio della ricerca clinica che porta con sé l’acquisizione di un crescente rigore scientifico.  Purtroppo, dobbiamo ammetterlo, il nostro Paese sta sperimentando durante la perdurante pandemia causata dal COVID-19 carenze non solo organizzative ma anche scientifiche, carenze che una più estesa pratica della ricerca clinica potrebbe avere certamente alleviato oltre che averne visto l’opportunità per indagare più efficaci soluzioni per il presente o nel caso di nuovi simili eventi.

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